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Notizie "storiche" autobiografiche

Sono nato nel 1972, a Roma. Sul finire degli anni '70 ho visto per la prima volta un computer, ma non capii la funzione di quella macchina finché non ebbi la possibilità di utilizzarne una: questa possibilità arrivò nel 1982, quando scrissi il mio primo programma su un Commodore VIC 20 preso in prestito. Ero talmente incuriosito dalle possibilità offerte dalla programmazione che cominciai a scrivere programmi in BASIC su fogli di carta, non avendo un computer per provarli. Forse questo desiderio non soddisfatto di utlizzare un computer ha contribuito ad alimentare l'idea di possederne una collezione non appena sarebbe stato possibile. Questa mia passione, tuttavia, si è concretizzata in una laurea in Architettura. Non so spiegarvi il perchè, ma sono riuscito, in extremis, ad unire gli studi ai miei interessi: la tesi che ho presentato in occasione della laurea mostrava un progetto per un Museo dell'Archeologia Industriale, dotato di un'area riservata ai computer storici.

Genesi

Il mio primo computer arrivò nel 1986, il secondo nel 1990. Proprio quest'ultimo, un Amiga 500, mi aiutò a riflettere sull'incredibile evoluzione seguita da quelle macchine in meno di un decennio. Fu allora che scattò l'idea del museo. Il 14 marzo 1991, il primo computer "d'antiquariato" entrò a far parte della mia collezione: era un Sinclair ZX-81, affidatomi da un amico con tanto di documento scritto. Quella è la data ufficiale di nascita del mio "museo" personale: allora non avrei mai immaginato che, cinque anni dopo, sarebbe nato un museo virtuale su Internet.

Oggi la mia collezione personale annovera quasi 100 personal computer, 38 dei quali sono esposti in questo sito insieme ad altri reperti che ritengo importanti per la storia dell'informatica. I pezzi più particolari sono il mastodontico Imsai del 1979 e una calcolatrice meccanica Comptometer del 1920. L'Imsai arrivò nel museo nel 1996: coperto di fango, incrostato, con alcuni relè bruciati e reduce da una scomoda traversata atlantica. Il suo peso superiore ai 54 kg. non rese facile la pulizia, ma dopo una settimana resuscitò salutandomi dal suo schermo rotondeggiante con alcune frasi di senso non compiuto .

Alla conquista dello spazio

Conservo i miei computer un po' ovunque, ma lo spazio comincia ad esaurirsi, insieme alla pazienza di chi vive con me. Aprendo un armadio è possibile ammirare un Commodore 8032, o visitando gli spazi sottostanti la mia scrivania è facile incontrare un computer IBM. Non ho la fortuna dei collezionisti americani che dispongono di notevoli quantità di terreno edificabile, altrimenti avrei già scavato le fondamenta di un museo reale. Ma Internet ha offerto la possibilità di costruire un museo senza spostarsi da casa: in questo modo, almeno virtualmente, lo spazio per esporre i computer è infinito.

Nascita del museo virtuale

Nel 1996 arrivai al punto di ritenere necessario effettuare tre pellegrinaggi: al Boston Computer Museum; nella Silicon Valley; a Graceland, il luogo dove visse Elvis Presley. Dopo sei mesi di lavoro riuscii ad accumulare i liquidi necessari per acquistare un biglietto aereo e una tessera del Greyhound, il mezzo di locomozione che mi ha trasportato per 45 giorni e 16.000 km, costituendo spesso anche la mia abitazione. Questo viaggio mi permise di conoscere luoghi e oggetti leggendari, e mi spinse a creare un museo personale dedicato alla storia del computer (ho tralasciato le conseguenze del terzo pellegrinaggio). In Italia era appena esploso il boom di Internet e così approfittai delle potenzialità del nuovo mezzo per fondare il Max Spillus Computer Museum in uno spazio web gratuito offerto da un provider americano. Iniziato con una singola pagina ed una lista di computer si è evoluto negli anni fino a trasformarsi in Max Retrocomputing, che poteva vantare centinaia di pagine e immagini. Dal 2001, anniversario della mia collezione personale che ha compiuto dieci anni, il sito ha assunto un'aspetto più ufficiale e la denominazione attuale. Nel 2002 ho avuto l'immenso piacere di conoscere un protagonista fondamentale della rivoluzione informatica: Federico Faggin, l'ingegnere italiano che progettò alla Intel il primo microprocessore della storia. Il pezzo più prezioso della mia collezione è sicuramente la dedica scritta che ha lasciato al mio museo.

Novità in vista

Nei primi giorni di maggio del 2004 ho unito la necessità di una trasferta oltreoceanica al piacere di una esplorazione metodica della Silicon Valley. Ho scoperto il garage di Steve Jobs e quello meno famoso di Hewlett e Packard, luogo ufficiale di nascita della valle: oggi è considerato "national landmark" dallo stato della California. Ma ancor più emozionante è stata la visita al Computer Museum History Center, che conserva persino una sezione originale dell'Eniac. Ho avuto un forte abbassamento della pressione sanguigna di fronte ad un modello originale di Apple I, per non parlare di due o tre Altair messi lì come coreografia. Ma la maggior parte del museo era dedicata ai computer pre-personal, pezzi rari e costosissimi: ho pensato che anche ComputerMuseum.it dovrebbe dotarsi di un'ampia sezione dedicata alla paleoinformatica, dal Colossus fino ai più recenti PDP. Sarà quindi questo il mio prossimo obiettivo, insieme ad una versione inglese del sito.

Se non siete stanchi di tutte queste parole e volete conoscere le altre attività a cui mi dedico visitate il mio sito personale www.maxfabrizi.com

Max è lieto di ricevere consigli e pareri su ComputerMuseum.it. Potete indirizzare le vostre email a: info@computermuseum.it

 
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