Programma 101: la rivoluzione mancata
di Massimiliano Fabrizi
"Probabilmente vedremo due computer su ogni scrivania prima ancora di avere due automobili in ogni garage".
Questa frase sibillina e forse ingenua fu pubblicata in un articolo comparso sull'edizione serale del New York Journal, nel 1965. Correndo indietro negli anni, non possiamo non immaginare a cosa corrispondesse il concetto di "computer". Chi avesse pronunciato tale termine lo avrebbe probabilmente identificato con l'immagine di un grande contenitore decorato da luci e interruttori, prontamente attivati da un esperto in camicie bianco. E' quindi immaginabile lo stupore derivante dalla consapevolezza che tali macchine sarebbero presto entrate nelle case di tutti (o quasi) per sostare sulle scrivanie, pronte ad essere utilizzate in complessi calcoli. E questo ancor prima di possedere due automobili, il cui prezzo era solo una frazione di quello necessario all'acquisto di un computer! Ma ancor più scalpore suscitò, e suscita ancora oggi, l'oggetto che a quell'epoca procurò non pochi problemi e pensieri ai dirigenti dei colossi americani produttori di calcolatori. Si trattava di un piccolo computer programmabile concepito e realizzato in Italia dalla Olivetti.
In un epoca in cui il calcolo automatico era territorio e privilegio delle grandi aziende, che potevano permettersi investimenti milionari (in dollari), il piccolo e attraente computer italiano, battezzato "Programma 101", sembrò aprire la strada verso una nuova e inaspettata rivoluzione. Capace di risolvere in poco tempo calcoli complessi, generati e controllati da veri e propri programmi impostati attraverso la piccola tastiera, questo oggetto incredibile integrava nel suo volume ridotto una stampante per riprodurre su carta e i risultati, un lettore di schede magnetiche per "caricare" i programmi precedentemente impostati e una memoria capace di conservare i dati sottoforma di impulsi elettrici transitanti su anelli di metallo. Tutto ciò costituiva una soluzione geniale: alla fiera di New York del 1965, dove la "Programma 101" fu presentata per la prima volta, lo stand della Olivetti fu meta di pellegrinaggio per migliaia di esperti accorsi per aggiornarsi sulle novità del mondo dell'elettronica. E ognuno voleva vedere da vicino il piccolo calcolatore rivoluzionario, per verificarne le capacità e l'efficienza, magari impostando personalmente alcune procedure di calcolo.
Ma l'intuizione più importante, a mio parere, fu la consapevolezza che il "computer" sarebbe diventato un oggetto di uso quotidiano e che una grande azienda come la Olivetti non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di dominare un campo del tutto inesplorato: se oggi possiamo vantare un tale capacità nell'aver anticipato un'era che ha radicalmente cambiato la società dobbiamo ringraziare un ingegnere italiano, Pier Giorgio Perotto, che progettò e realizzò la "Programma 101", il cui nome provvisorio fu proprio "Perottina". Insieme al suo team di sviluppo e ricerca, Perotto partecipò a tutte le fasi costruttive della sua creatura, provvedendo anche al design del contenitore metallico che ospitava gli organi interni della macchina. Quella forma, più volte giudicata inopportuna da alcuni dirigenti della Olivetti, si rivelò un capolavoro di ergonomia che valse all'azienda l'Industrial Design Award.
Ma, è necessario chiederselo, perché oggi una tale invenzione è pressoché sconosciuta al grande pubblico? Perché la Olivetti non puntò tutto sul suo prodotto rivoluzionario per conquistare un mercato che di lì a poco sarebbe diventato fiorente? Mi viene in mente la Apple, divenuta un colosso dell'informatica grazie all'intuizione dei suoi due fondatori, capaci di progettare e realizzare un computer di successo mondiale nel garage della loro abitazione. Perché nei grandi padiglioni della Olivetti, azienda affermata e riconosciuta internazionalmente, non si sviluppò il seme della rivoluzione? I motivi sono tanti, ed è difficile indagarli. La "Programma 101" ebbe un discreto successo, fu venduta in 40.000 esemplari, il 90% dei quali raggiunse gli Stati Uniti. Persino la Nasa acquistò alcuni modelli.
Ma il concetto che esprimeva non fu mai sviluppato, passarono quasi dieci anni di silenzio prima che alcune piccole aziende americane lanciarono sul mercato i primi "personal computer" che tutti gli appassionati ricordano, e che oggi sono considerati i precursori dell'informatica a basso costo. E' noto che i vertici dell'azienda italiana non vollero riporre alcuna aspettativa sul futuro di quell'invenzione, considerandola un episodio isolato: soprattutto, non fu considerata credibile l'ipotesi che i computer sarebbero diventati oggetti destinati ad un pubblico più vasto, diverso da quello delle grandi aziende. In effetti, a quell'epoca, i computer costituivano un mondo a parte, ben distaccato dalla realtà quotidiana degli stessi utilizzatori, in grado di programmarli solamente presso la propria sede di lavoro. Anche se, inaspettatamente, la Hewlett Packard preferì pagare un milione di dollari di royalties alla Olivetti per basare il suo futuro computer HP 9100 sulle soluzioni adottate nella "Programma 101".
La "Programma 101", insomma, non fu adeguatamente supportata e sviluppata, per questo possiamo definirla una "rivoluzione mancata". Ma l'intuito e la genialità del suo inventore non saranno mai dimenticate: grazie a lui possiamo sicuramente affermare che fu italiano il primo personal computer della storia.
Piergiorgio Perotto è scomparso il 23 gennaio 2002.