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Una Rivoluzione da Collezionare

di Massimiliano Fabrizi
Pubblicato sul mensile "Collezionare" il 15 aprile 2002

E' difficile comprendere i motivi che spingono un collezionista a circondarsi di oggetti diversi tra di loro ma legati da un filo conduttore comune. Lo spirito che guida ogni individuo nasce dalle diverse emozioni che un singolo oggetto può suscitare: un semplice francobollo porta con sè l'avventura di un viaggio, i colori di un popolo, l'importanza di un messaggio, la suggestione di un periodo storico. E' certo che ogni elemento della collezione, solo apparentemente muto, genera in chi lo possiede emozioni particolari e mutevoli, che vanno al di là dell'oggetto stesso.

Ogni elemento che ci circonda è virtualmente collezionabile: basta individuare l'aspetto che lo lega ad altri suoi simili, e su quello fondare la colonna portante della collezione. Ma non basta: bisogna infondere lo spirito necessario a perseverare nella raccolta, frutto di una condizione personale o di un desiderio particolare. Senza questo "movente" la collezione esaurirebbe presto la sua energia iniziale.

Negli anni abbiamo scoperto quanto può essere vario il mondo del collezionismo: siamo stati abituati ad includere nelle sue sfere gli oggetti più insoliti, ma mai ci saremmo aspettati che anche i computer avrebbero conquistato un loro posto. A volte trovo difficile spiegare perché ho accumulato decine e decine di calcolatori elettronici: l'informatica è un territorio che può risultare ostile, freddo e privo di fascino. Capisco l'incomprensione di chi utilizza il computer come un semplice strumento di lavoro: perché mai, si chiede, questo oggetto dovrebbe suscitare emozioni? Spesso l'unico sentimento che infonde nell'utente è lo stress legato all'ambiente lavorativo. Eppure anche tra i bit, entità dalla consistenza effimera, esiste un movente solido e affascinante, intimamente legato alla nostra evoluzione. Per comprenderlo devo necessariamente fare un passo indietro.

La prima volta che sfiorai i tasti di un computer fu nel 1982, all'età di dieci anni. Quell'anno segna l'inizio di una rivoluzione che ha portato l'informatica nelle case, con il suo bagaglio di innovazioni e speranze per il futuro. A dire il vero il personal computer fece il suo ingresso nell'ambito domestico dopo la metà degli anni settanta, ma a trarne vantaggio furono soprattutto i nostri colleghi d'oltreoceano. Quando l'Italia fu "invasa" da questi oggetti elettronici il loro prezzo aveva raggiunto un limite accettabile, tale da permettere a molti appassionati di avvicinarsi a quel mondo quasi inesplorato. Ciò che rendeva affascinante l'utilizzo di quei computer primordiali erano le possibilità apparentemente infinite che ognuno di loro poteva offrire. Produrre suoni o immagini grafiche sullo schermo di un televisore era, in quegli anni, un'esperienza assolutamente nuova ed emozionante.

Non esistevano sistemi operativi simili a quelli odierni: per produrre un semplice disegno bisognava copiare interi programmi dai pochi manuali in circolazione, e magari essere in grado di modificarli o correggerli. Esisteva una competizione tra i vari appassionati, fondata sull'abilità e il piacere di scoprire un lato inesplorato o una potenzialità inaspettata del nostro calcolatore elettronico. Questa competizione era resa ancor più accentuata dall'enorme diversità che caratterizzava il panorama informatico: i computer spesso non erano compatibili tra di loro, ognuno aveva delle caratteristiche proprie e non poteva condividere le risorse con altri. Esisteva perciò il piacere di desiderare un computer diverso dal nostro, perché diversi erano gli angoli da esplorare.

Ancor più affascinante fu la possibilità di connettersi ad una banca dati, usando le linee telefoniche. Quei sistemi, però, non avevano nulla in comune con la praticità di Internet. Il collegamento telefonico, infatti, era diretto: per accedere alle risorse di una università statunitense bisognava comporre un numero internazionale. Ogni banca dati era un mondo isolato, non collegato con gli altri: la lentezza delle comunicazioni, soprattutto, permetteva di scaricare quasi esclusivamente documenti testuali. Quei documenti, però, rivestivano una importanza fondamentale, perché erano stati ottenuti con una modalità fino a poco tempo prima impensabile: ogni collegamento era un viaggio, un po' come la sensazione piacevole che suscita un francobollo giunto da un paese agli antipodi. Lo spirito pionieristico che animava ogni utente era il motivo principale che spingeva chiunque ad utilizzare un computer indipendentemente dalla necessità pratica di possederlo. Si capiva che stava accadendo qualcosa di straordinario, una rivoluzione nel modo di comunicare e di lavorare: se esaminiamo lo svolgersi degli eventi scopriamo che i cambiamenti indotti nella società dall'avvento del computer sono stati fondamentali.

Oggi l'evoluzione dell'elettronica tende a fornirci macchine sempre più veloci o sempre più capaci. Quando iniziai ad utilizzare i computer, però, ogni novità significava un profondo cambiamento nelle possibilità reali offerte da quegli oggetti, talmente incisivo da rendere subito obsoleti i computer utilizzati fino a qualche giorno prima. Questa velocità evolutiva, accompagnata dall'obsolescenza precoce, ha compresso le ere della rivoluzione informatica in un lasso di tempo relativamente breve: basta leggere le pubblicità dell'epoca per capire quante aspettative erano affidate ad ogni nuovo computer, quante previsioni per il futuro, quante delusioni e quanti successi...

Ecco quindi cosa rende affascinante un vecchio computer: è raro poter possedere un oggetto che ha contribuito ad una rivoluzione sociale ed essere contemporaneamente protagonista di quella rivoluzione. Gli ultimi venticinque anni comprendono sia la preistoria del personal computer, sia l'era moderna: al collezionista appassionato è offerta la possibilità unica di far rivivere quelle macchine, utilizzandole come una volta per lasciar riemergere le emozioni che suscitarono in passato. E' come accendere una vecchia radio ed ascoltare un notiziario di cinquant'anni fa, rimasto sospeso tra le sue valvole in attesa di un atto liberatorio.

Capii la velocità con cui i computer stavano evolvendosi quando entrai in possesso del mio secondo calcolatore: la differenza con il suo predecessore era così marcata da definirlo subito un "pezzo da museo". Fu proprio questa convinzione che mi spinse a cercarne altri presso i miei amici e conoscenti, per condividere quelle esperienze che in qualche modo ci avevano legati.

L'origine della mia collezione va individuata in un periodo ben preciso: era il marzo del 1991 quando mi fu regalato il primo computer "obsoleto", con il preciso intento di iniziare una ricerca metodica. Sono particolarmente affezionato a quell'oggetto, un Sinclair ZX81, perché fu accompagnato da una dichiarazione scritta nella quale mi impegnavo a trattarlo come un figlio: tale era la richiesta del donatore.

All'inizio l'idea parve insolita ma interessante, molti mi offrirono in dono le loro macchine, soprattutto perché erano ormai vecchie ed inutilizzabili: destinate ad un posto inaccessibile della cantina o, peggio ancora, in compagnia di altri rifiuti urbani. Questa è una caratteristica che rende la collezione di computer particolare: l'oggetto più prezioso può essere trovato nel mezzo di una discarica, perché tale è il destino di un macchina non più utilizzabile. E' infatti impossibile, nella maggior parte dei casi, attribuire un valore economico agli oggetti della nostra collezione: proprio perché il piacere che generano è soggettivo e legato alle esperienze personali non si può stabilire un valido termine di paragone. Spesso l'acquisizione di un computer è frutto di una donazione, di uno scambio o di una transazione di qualche decina di euro. E' proprio questo uno degli aspetti più divertenti: per anni ho rintracciato gli oggetti della mia collezione nei mercatini dell'usato, pagandoli un millesimo del loro valore originale. Posseggo computer che negli anni '70 costavano quanto un piccolo appartamento e che oggi ho acquistato per il costo di una pizza.

Nel 1996 decisi di effettuare un pellegrinaggio nei luoghi che videro la nascita dei primi personal computer. Sei mesi di lavoro, alternato agli studi di architettura, mi permisero di raccogliere in fondi necessari per un viaggio negli Stati Uniti. Per quarantacinque giorni mi sono spostato sui mitici "Greyhound", gli autobus che raggiungono gli angoli più sperduti del territorio americano e che spesso hanno costituito il mio alloggio provvisorio. Ho naturalmente visitato le località più note, come la Silicon Valley, ma le emozioni più forti le ho provate nell'arido deserto del New Mexico. Pochi sanno che quella è la culla dei primi personal computer: fu lì che si stabilirono la MITS, la società che commercializzò il primo computer venduto in kit, e la Microsoft, che ne produceva il sistema operativo. E' incredibile l'analogia tra un panorama desertico, che nell'immaginario comune è accomunato ad un ambiente preistorico, e la consapevolezza che proprio quello è il luogo in cui videro la luce i nostri fossili informatici. Per anni centinaia di americani attraversarono in macchina gli stati del midwest per assistere personalmente alla produzione di quello che oggi è il computer più ambito dai collezionisti, l'Altair 8800.

Fu proprio al Computer Museum di Boston che ebbi l'idea di fondare un museo del personal computer. La mia collezione era abbastanza nutrita, circa 30 calcolatori, un numero sufficiente per un'esposizione esauriente. Mancava però un luogo adatto a concretizzare la mia idea: questo fu l'ostacolo che all'inizio sembrava insormontabile. Ma loro stessi, i computer, sembravano venirmi incontro: erano quelli gli anni del boom di Internet in Italia, quale migliore occasione per sfruttare questa nuova tecnologia e creare un museo virtuale?

Al ritorno mi misi subito al lavoro, e dopo qualche settimana la mia collezione aveva una vetrina sul web, visibile da qualsiasi utente collegato ad internet. Il successo fu immediato: avevo molti contatti da navigatori stranieri, e questo mi permise di conoscere molti appassionati che, come me, avevano costituito delle raccolte interessanti.

Internet è stato il mezzo fondamentale per aggiungere valore e consistenza alla mia collezione: mi ha permesso di reperire notizie sui computer "storici" e divulgarle all'interno del mio museo virtuale. Dopo i primi successi sono entrato in contatto con persone che hanno partecipato alla rivoluzione informatica e che mi hanno aiutato a rintracciare i computer che cercavo. Ogni e-mail che ricevo mi spinge a perseverare nella mia ricerca, e in quello che oggi è diventato il "movente" della mia collezione: il piacere di raccontare una storia avvincente rendendola interessante anche a chi non si è mai avvicinato al mondo dell'informatica.

Mentre scrivo osservo soddisfatto l'ultimo computer entrato a far parte della mia raccolta: un Commodore PET 2001, dalla caratteristica tastiera simile ad un registratore di cassa. L'ho cercato e desiderato per dieci anni, per poi reperirlo nel giro di due giorni tramite un'asta su internet. Dalla forma spigolosa e con un monitor rotondeggiante è simile agli improbabili calcolatori che apparivano nei telefilm di fantascienza degli anni '60: spesso apprezzo i computer anche per il loro aspetto curioso o il loro design attraente, deformazione professionale...

Ovviamente nei miei sogni, come in quelli di qualsiasi altro collezionista, c'è il desiderio di possedere un Altair 8800, il progenitore, o un IMSAI 8080, protagonista del film "WarGames": ma la loro reperibilità è limitatissima, ed il loro costo proibitivo. Chissà, forse un giorno. Ho imparato ad attendere pazientemente. E certo che questa collezione ha rivelato aspetti impensabili: il computer ha rivoluzionato la società, ha forgiato una generazione di appassionati, li ha resi protagonisti di un cambiamento storico, li ha trasformati in collezionisti e pionieri di una nuova archeologia e ha fornito gli strumenti necessari per raccontare al mondo intero la sua stessa storia.

 
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